1946,
collage su masonite,
60 x 70 cm
Milano,
Istituto Nazionale Ferruccio Parri
Gruppo di 43 partigiani avviati alla fucilazione a Fondo Toce
I morti.
I fascisti massacravano i partigiani. Li addossavano alle palizzate, ai muri dei cimiteri, alle case delle città e dei paesi e li fucilavano. Volevano che i partigiani deponessero le armi, volevano terrorizzare la popolazione perché abbandonasse la lotta. Ma avveniva il contrario. Quei morti dalle braccia aperte come crocifissi, quei morti che non potevano ricevere sepoltura, parlavano ancora, indicavano le montagne e le catacombe delle città, diventavano il simbolo della resistenza e della lotta.
Le donne
“State pronte. Le sorelle del Corpo Volontari della Guerra di Liberazione si sentano legate tutte da una indissolubile fede e da una comune, ardente speranza”.
“State pronte” a sostenere l’attività clandestina, di soccorso e di supporto alle formazioni partigiane, ma anche alla lotta – nelle fabbriche per la parità salariale, nella società per eguali diritti. Le donne che prendono parte alla Resistenza devono prepararsi non solo alla possibilità della morte anche a quella dell’umiliazione. La violenta immagine della giovane donna (es)posta in capo alla colonna di partigiani avviati alla fucilazione si rispecchia nella rappresentazione della partigiana minacciata dai nazifascisti.
Pippo Pozzi,
Partigiana,
1944, inchiostro su carta,
43 x 37 cm
Il piemontese Pippo Pozzi (1910-1999) acquista una certa notorietà come disegnatore di guerra, avendo partecipato alle vicende belliche in Africa Orientale, Grecia e Albania; le sue opere sono presentate anche in mostre aperte all’interno del sistema espositivo fascista, ma il loro carattere espressivo contiene un sofferto messaggio antieroico, lo stesso che l’artista impiega nelle immagini ispirate alla Resistenza, che celebra con una serie di lavori nel 1955 per il decennale della Liberazione a Biella e a Torino.
Percorsi tematici
8 marzo 1945: una mimosa per celebrare i partigiani caduti
In Italia, la Giornata internazionale della donna fu celebrata per la prima volta il 12 marzo 1922, su iniziativa del Partito comunista d’Italia, nella prima domenica successiva all’8 marzo. Negli anni del fascismo e della clandestinità la Giornata della donna finì per scomparire e tornò alla luce soltanto nel 1944, allorché nella parte del Paese già liberata dal nazifascismo fu costituita l’Udi, Unione delle donne italiane, la quale decise di celebrare nuovamente l’8 marzo. L’anno successivo, su iniziativa di donne comuniste come Lina Fibbi, l’iniziativa fu ripresa anche nella parte del paese ancora occupata. Ricorderà la Fibbi: L’”8 marzo 1945 i tedeschi erano inferociti perché erano già in ritirata. […] era la Giornata internazionale della donna. Allora chiedemmo a Longo se avesse qualche idea e lui disse: “mandiamo le donne sulle tombe dei partigiani caduti e facciamo in modo che si possano riconoscere”. E quel giorno, quell’8 marzo 1945, al Cimitero monumentale di Milano c’erano moltissime donne, tutte con la mimosa, e i tedeschi erano impazziti perché non potevano dire niente […] fu un episodio formidabile. (Guido Gerosa, “Le compagne”, Rizzoli 1979, p. 111).
Le cronache della giornata da La Compagna, periodico fondato nel 1922 da Camilla Ravera e dagli archivi dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri.
Il voto alle donne da parte del governo Bonomi
Su iniziativa del Partito comunista, nel novembre 1943 vennero fondati a Milano i Gruppi di Difesa della Donna e per l’Assistenza ai Volontari della Libertà: un’organizzazione costituita da donne che si univano per manifestare contro la guerra, assistere famiglie in difficoltà, supportare i partigiani, riconosciuta a luglio del 1944 dal CLNAI. Nel mese di agosto i partiti capeggiati da Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti si dimostrarono favorevoli alla questione dell’estensione del suffragio anche alle donne: fu così che prese forma il decreto De Gasperi-Togliatti, meglio conosciuto come decreto Bonomi e il 1 febbraio del 1945, con l’Italia divisa e il Nord sottoposto all’occupazione tedesca, il Consiglio dei ministri, presieduto da Ivanoe Bonomi, emanò un decreto che garantiva il diritto di voto alle donne (decreto legislativo luogotenenziale n. 23 del 2 febbraio 1945). Venne così riconosciuto il suffragio universale, dopo i vani tentativi fatti nel 1881 e nel 1907 dalle donne dei vari partiti.
Cleonice Tomassetti: la forza delle donne
La fotografia del corteo la ritrae in prima fila. Sono 42 uomini e una donna che vanno a morire. I nazifascisti li fanno sfilare sul lungolago di Intra. Lei si chiama Cleonice Tomassetti. Penultima di sei fratelli, nasce il 4 novembre 1911 a Petrella Salto, un villaggio nell’Appennino tra Lazio e Abruzzo. Famiglia contadina, un piccolo podere, la madre muore e lei deve abbandonare la scuola per lavorare a casa e nei campi, ma suo padre la molesta e a soli 16 anni resta incinta. Cleonice fugge e si rifugia a Roma dalla sorella, dove però il bambino nasce morto. A 22 anni Cleonice lascia anche Roma e arriva a Milano, dove lavora come commessa e conosce un assicuratore, Mario Nobili, antifascista convinto. Cleonice, ‘Nice’, frequenta Nobili e i suoi compagni di fede, tra questi il sarto Eugenio Dalle Crode. Ed è proprio nella bottega del sarto che Nice incontra Sergio Cribi. Ricorda Eugenio Dalle Crode: “Ai primi del ’44 il mio amico Mario Nobili fu ricoverato all’ospedale con la meningite: dopo pochi giorni morì. Dopo la morte di Mario, Nice veniva quasi tutti i giorni nella mia sartoria a lavorare qualche ora. Un giorno del mese di giugno del ’44 passò da me a provare un vestito Sergio Ciribi, il figlio maggiore di una famiglia di miei vecchi clienti. Era presente la Nice. A un certo punto Sergio mi disse: “Sa, signor Eugenio, che hanno chiamato la mia classe, il primo semestre del ’26? È sul giornale di oggi. Ma io non mi presento, vado in montagna con i partigiani”. Sergio non aveva ancora finito di parlare, che la Nice disse: “Allora ci vengo anch’io”. Partono qualche giorno più tardi per unirsi ai partigiani della divisione Valdossola, ma vengono catturati dopo poco da tedeschi e SS italiane. Presi a calci e pugni, vengono torturati per due giorni, per estorcere loro i nomi e i luoghi dove si nascondono i partigiani. Alla fine Cleonice Tomassetti e Sergio Ciribi vengono chiusi nelle cantine di Villa Caramora, una casa ottocentesca sul lungolago di Intra, insieme con decine di partigiani e di sospetti catturati nel rastrellamento. I tedeschi mettono i condannati in fila con la faccia verso il lago, armeggiano alle loro spalle, sparano in aria per simulare l’esecuzione. Poi li caricano sui camion, ma ad ogni raggruppamento di case li fanno sfilare col cartello (quello della foto: “Sono questi i liberatori d’Italia oppure sono i banditi?”). Si arriva così a Fondotoce. Tutti devono sdraiarsi per terra, e tre alla volta passano sotto le raffiche del plotone. Nice è la prima a morire, il 20 giugno del 1944, unica donna insieme a 41 altri antifascisti.
(testo tratto dall’Enciclopedia delle donne)