06. campi di concentramento
1946,
collage su masonite,
60 x 70 cm
Milano,
Istituto Nazionale Ferruccio Parri
Soldati italiani catturati dai tedeschi
8 settembre 1943
E’ l’armistizio: arriva il saccheggio nazista e nasce la guerra di liberazione. Ammucchiati nei vagoni bestiame, i soldati italiani sono condotti verso la deportazione e la fame; l’antico grido “guerra ai tedeschi” erompe dal cuore e plana sull’Italia. La parola mussoliniana ha trovato il suo complemento oggetto: “Vinceremo…i tedeschi”
Campi di concentramento
“Il Lager è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano.” Primo Levi, Se questo è un uomo.
Tra l’8 settembre 1943 e i primi giorni di maggio 1945 circa 40.000 italiani finirono nei campi gestiti dalla SS naziste. Di questi, circa 8.000 erano ebrei, uomini, donne e bambini destinati allo sterminio; alcuni erano Rom e Sinti, vittime anch’essi delle politiche razziste nazifasciste; qualcuno era Testimone di Geova. Oltre 30.000 deportati – la grande maggioranza, dunque – furono classificati come “politici”, e rappresentavano ogni possibile corrente ideale e culturale dell’antifascismo italiano.
Di tutti questi deportati, quasi la metà non ha fatto ritorno a casa.
Contemporaneamente furono rinchiusi in campi di internamento nel Reich oltre 600.000 militari italiani che dopo la cattura da parte delle Forze Armate tedesche avevano rifiutato di arruolarsi nell’esercito della neonata Repubblica sociale italiana.
Infine circa 250.000 italiani, uomini e donne, furono prelevati a forza e costretti a lavorare per l’apparato produttivo nazista.
In totale furono quasi un milione gli italiani sfruttati come schiavi nelle fabbriche di Hitler.
Aldo Carpi,
Passa la zuppa al Revier Gusen 1°,
1959,
carbone su carta,
50 x 33 cm.
Il disegno di Aldo Carpi (1886-1973) nasce dal ricordo incancellabile della deportazione dell’artista a Gusen, sottocampo di Mauthausen: qui egli, a rischio della vita, tiene un diario con disegni ispirati alla vita del lager, testimonianza indelebile della violenza sistematica e della organizzazione di morte dei campi di sterminio. Tornato a Milano, Carpi, che è, oltre che bravo pittore anche straordinario insegnante, viene nominato per acclamazione direttore dell’Accademia e del Liceo Artistico di Brera.
Percorsi tematici
Immagini clandestine dell’internamento militare
Queste immagini costituiscono un documento straordinario in quanto effettuate clandestinamente all’interno di in campo di internamento per IMI (Internati militari italiani). Autore è Ferruccio Ferretti, tenente del 72° reggimento di fanteria della Divisione Puglie, catturato dai tedeschi nel settembre del 1943. Al momento della cattura aveva con se una macchina fotografica, con la quale scattò 55 fotografie – testimonianze delle traversie vissute dall’8 settembre 1943 sino alla liberazione dell’aprile 1945 nei campi di Pikulic, Kustrin, Sandbostel e Fallingbostel, dove venne liberato nell’aprile del 1945.
Anche gli IMI, rifiutando l’arruolamento nelle fila della Rsi, scelsero la Resistenza. Lo scatto del renitente portato in trionfo immortala un piccolo gesto di resistenza ma racchiude un grande significato simbolico. Il legame diretto tra IMI e resistenza emerge chiaramente nella “Lettera degli internati ai partigiani” giunta a Radio Libertà di Biella.
Due eccezionali acquerelli
Due eccezionali acquerelli realizzati dal vero all’interno del Lager di Fossoli. L’autore è un prigioniero politico, l’architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso, matricola 190, giovane ma già famoso architetto. Arrivato nel campo il 27 aprile 1944, il mese successivo ritrae la scena di colloqui tra prigionieri separati da un filo spinato.
Senza data è il secondo acquarello, che fissa sulla carta il coro del gruppo dei prigionieri romani, rastrellati ad aprile nel quartiere del Quadraro.
In entrambe le opere l’atmosfera serale è malinconica e come sospesa, precaria: di lì a poche settimane nuovi spostamenti, nuovi “trasporti” porteranno tutti questi prigionieri verso il loro destino. Lo stesso Belgiojoso andrà a Bolzano, quindi a Mauthausen e Gusen, da dove riuscirà a ritornare,
Gli acquerelli appartengono a una collezione privata.
Gianfranco Maris
Storico presidente dell’ANED che ha diretto per oltre 50 anni, avvocato, senatore, membro del Consiglio Superiore della Magistratura, ex-vicepresidente ANPI, ex-direttore ISMLI, ex-presidente della Fondazione Memoria della Deportazione.
Foto di Maris-sorridente
Nato a Milano il 24 gennaio 1921, il 10 giugno 1941, primo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, viene nominato sottotenente e subito mandato in Grecia. Dalla Grecia è spostato in Slovenia e in Croazia dove, dopo l’8 settembre 1943, riesce a tornare in Italia, entra nella Resistenza e diventa capo di una delle prime bande partigiane in Val Brembana. Quando, nel gennaio 1944, riceve l’ordine di raggiungere la Valtellina, Maris (che ha assunto la falsa identità di Gianfranco Lanati), è arrestato, per delazione, alla stazione di Lecco. Comincia così la drammatica trafila tra il carcere di Lecco, le celle delle SS di Bergamo, quelle della GNR, quelle del carcere di S. Agata, quelle del carcere di San Vittore. Da Milano Maris-Lanati il 27 aprile 1944 è trasferito a Fossoli (matricola 298). A fine luglio 1944 il trasporto verso il campo di Bolzano è il preludio della deportazione, il 5 agosto, nel lager di Mauthausen, e poi in quello di Gusen, dove (matricola 82.394), riuscirà a sopravvivere alle privazioni e alle violenze. Il 5 maggio 1945 viene liberato dai soldati americani. Rientrato in Italia a bordo di un’autolettiga di un comando militare italiano, Maris, superato il trauma, riprende gli studi e si laurea in Legge. Esercita la professione a Milano, sempre in prima fila nella difesa dei valori della Resistenza e nel ricordo del periodo tragico della deportazione. Viene eletto Senatore comunista per diverse legislature. Muore a Milano il 14 agosto 2015.
Un ritratto di Maris fatto da Maltagliati
Il testamento politico di Maris per il 70.o della Liberazione:
Gianfranco Maris racconta la sua vita:
Andrea Lorenzetti
“Ci sono momenti della vita che dentro di noi la coscienza chiama e dice “questo è il tuo dovere” e non ci si può sottrarre senza perdere la stima di noi stessi. Lettera da San Vittore, 26 marzo 1944”
Andrea Lorenzetti, nato ad Ancona nel 1907, prende il diploma di ragioniere a 16 anni e comincia subito a lavorare in banca ad Ancona. Dopo qualche anno, si trasferisce a Milano al Crédit Commercial de France, finché nel 1934 entra nello studio di Antonio Foglia occupandosi di Borsa. Nel 1937 viene promosso procuratore. Le prime notizie della sua attività politica clandestina risalgono all’autunno 1942, quando partecipa a riunioni preparatorie per rifondare il PSI. Subito dopo l’armistizio partecipa ad una riunione presso lo studio di Antonio Foglia con i rappresentanti del costituendo CLN. Alla fine del 1943 sostituisce Domenico Viotto, rappresentante del PSIUP presso il CLN di Milano, che era costretto ad abbandonare l’Italia. Ai primi del 1944 entra nella segreteria del partito per l’Alta Italia insieme a Cirenei, Pieraccini e Valcarenghi. Si occupa della redazione e diffusione dell’Avanti! clandestino, di cui uscirono, quasi ogni settimana, 28 numeri nel periodo settembre 1943-maggio 1944. È uno degli organizzatori degli scioperi del marzo 1944, insieme ai compagni del PCI. La dura repressione seguita agli scioperi e probabilmente anche qualche spiata provocano l’arresto di tutto il gruppo dirigente del PSI. Arrestato il 10 marzo 1944, resta in isolamento a San Vittore fino al 27 aprile, poi viene trasferito a Fossoli fino ai primi di agosto. Da qui inizia il viaggio verso la Germania, con una sosta di qualche giorno a Bolzano. Il viaggio si concluderà in uno dei peggiori sottocampi di Mauthausen, il Gusen III. Andrea a resiste fino alla liberazione del campo, il 5 maggio 1945, ma muore in ospedale a Gusen il 15 maggio. Poco prima di morire, chiama l’amico fraterno Aldo Ravelli e gli detta il suo testamento spirituale, qui riprodotto:
Carissimi,
tutti i titoli sono alla Banca Privata Finanziaria. Taglioretti e Foglia sono al corrente. Desidero che Ravelli sia messo al corrente della situazione finanziaria e insieme ai primi due provveda all’amministrazione e alla consegna a mia moglie, mia mamma e sorella perché provvedano in primo luogo ai bisogni del piccolo Guido. Desidero che Guido sia allevato secondo i sentimenti che hanno inspirato la mia vita. Prego i miei di perdonarmi il dolore che arreco loro, non mi pento di quello che ho fatto, malgrado tutto quello che ho sofferto sarei pronto a ricominciare, perciò non mi compiango. Penso a tutti. Vi abbraccio. Gusen, 15 maggio 1945
Andrea Lorenzetti
Poco dopo aver firmato il documento, Andrea moriva.
Il figlio Guido ha pubblicato “Andrea Lorenzetti, prigioniero dei nazisti, libero sempre”, scaricabile dal
sito ANED