1946,
collage su masonite,
60 x 70 cm
Milano,
Istituto Nazionale Ferruccio Parri
I cadaveri dei fucilati in Piazza Loreto
Il fascismo assolda la canaglia, ricostruisce i tribunali speciali, allestisce le camere di tortura. Era così facile morire…ma spesso, in quelle mani, la morte era una liberazione.
Le torture e i morti
“Temono di voi la morte, credendosi vivi” Salvatore Quasimodo
Durante i 20 mesi di Resistenza, fascisti e nazisti usarono il terrore per puntellare un potere sempre più precario. L’esposizione dei corpi dei nemici voleva fungere da “esempio”. I luoghi della tortura, in quei giorni spesso evitati dalla popolazione, nel dopoguerra furono messi a disposizione della collettività. Villa Triste divenne un asilo, la sede della Muti ospita dal 1947 il Piccolo Teatro.
Quinto Martini,
Quando lo vidi era già morto – rappresaglia,
1944,
tecnica mista su carta,
23x 18 cm.
Carlo Levi ricorda quando, nella primavera del 1943, essendo stato arrestato dai fascisti a Firenze, scopre che nella cella accanto alla sua c’è Quinto Martini (1908-1990), segnalato come prigioniero politico a cui deve essere riservata grande sorveglianza. Il disegno realizzato dall’artista raffigura un partigiano impiccato su un pezzo di carta sgualcito e dai bordi strappati, come se fosse stato conservato con fatica e difficoltà, in perfetta coerenza con la vita che Martini conduce in quell’anno, vivendo clandestinamente per sfuggire alla cattura dei nazisti.
Percorsi tematici
Un pittore a piazzale Loreto:
Molti videro i corpi degli antifascisti fucilati a piazzale Loreto, il 10 agosto 1944.
Tra questi un pittore, Aligi Sassu: «mi trovai con il cuore gonfio di orrore e di commozione, impotente tra gente impotente, spettatore impietrito del ludibrio a cui i militi repubblichini avevano sottoposto i corpi di quei generosi nostri fratelli. Me ne tornai sconvolto; giunto nella casa di via Bagutta volli subito fissare sulla tela la memoria di quel sacrificio, volli immediatamente celebrare in pittura quanto avevo visto. Ma non avevo una tela e per tante ragioni non avrei potuto procurarmene una sul momento. Allora cominciai a dipingere sopra un altro mio quadro che rappresentava un ciclista. Dopo due giornate di lavoro conclusi I martiri di Piazzale Loreto […]. [Quelle] scene mi avevano sconvolto. Eppure vi era in me, nel fuoco che mi agitava mentre dipingevo, nell’ansia che mi riempiva il petto mentre cercavo di esprimere quel che avevo visto, una tristezza immensa. Pensai, alla fine, che da quei corpi insanguinati e inerti si levasse un muto ammonimento per tutti gli italiani e, anzi, per tutti gli uomini: non di vendetta o di rancorosa ricerca dei torti e delle ragioni, ma di pace, di giusta pace». (da S. Campus, Aligi Sassu, Nuoro, Ilisso edizioni, n. 15, 2005).
I registri di San Vittore
Il carcere di San Vittore, gestito sia dagli organi della Rsi che dalle autorità tedesche, costituì per Milano uno dei luoghi simbolo della tortura e della deportazione. La documentazione prodotta dall’amministrazione del carcere è in parte conservata presso l’Archivio di Stato di Milano, in parte presso il Museo del Risorgimento. Mettiamo a disposizione la descrizione del Fondo Schede del Carcere di San Vittore di Milano conservato presso l’Istituto nazionale Ferruccio Parri.