Memoriali, musei e monumenti dello studio di architettura e urbanistica BBPR
(Gian Luigi, Giangio, Banfi – Lodovico, Lodo, Barbiano di Belgiojoso – Enrico, Aurel, Peressutti – Ernesto Nathan Rogers)
Architettura, Antifascismo, Resistenza, Deportazione, Liberazione, Memoria
A cura di ANED
I BBPR – da sinistra: Aurel Peressutti – Lodovico Lodo Barbiano di Belgiojoso – Ernesto Nathan Rogers – Gian Luigi Giangio Banfi
BBPR era la sigla che indicava il gruppo di architetti italiani costituito nel 1932 da Gian Luigi Banfi (1910 – 1945), Lodovico Barbiano di Belgiojoso (1909 – 2004), Enrico Peressutti (1908 – 1976), Ernesto Nathan Rogers (1909 – 1969). Laureatisi al Politecnico di Milano, i quattro progettisti nei loro lavori iniziali seguono i temi del razionalismo italiano degli anni trenta. Si distinguono per vari piani urbanistici (Pavia, Isola d’Elba, Valle d’Aosta). In questo periodo partecipano attivamente alla polemica sorta tra razionalisti e tradizionalisti e ritengono di poter sostenere lo scontro per la libertà di espressione e per il trionfo dell’architettura moderna all’interno del fascismo, ma dopo l’introduzione delle leggi razziali del 1938 che colpiscono anche un loro collaboratore, gli architetti del BBPR abbracciano i valori della Resistenza.
ANNI ’20-1931: FORMAZIONE COMUNE E FONDAZIONE DELLO STUDIO BBPR
Gian Luigi Banfi [https://it.wikipedia.org/wiki/Gian_Luigi_Banfi] e Lodovico Barbiano di Belgiojoso [https://it.wikipedia.org/wiki/Lodovico_Barbiano_di_Belgiojoso] sono compagni di classe in prima media al Liceo classico Parini. In prima liceo si aggiunge Ernesto Rogers che arriva con la famiglia da Trieste [https://it.wikipedia.org/wiki/Ernesto_Nathan_Rogers]. Si iscrivono alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, dove vengono raggiunti da Enrico Peressutti [https://it.wikipedia.org/wiki/Enrico_Peressutti] proveniente da Cracovia (Romania). Gli iscritti a quell’anno ad Architettura erano solo 8 e i 4 BBPR cominciano a studiare e a progettare insieme, a far vita in comune sviluppando sensibilità e interessi distinti e complementari. Si laureano col massimo dei voti nel 1931 e nel 1932 fondano insieme lo Studio di architettura ed urbanistica BBPR dall’acronimo dei loro cognomi [https://it.wikipedia.org/wiki/BBPR]. Nel 1933 prestano servizio militare come allievi ufficiali alla scuola del Genio a Pavia; solo Rogers viene riformato “per ridotte attitudini militari”.
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Tuttavia, Ernesto può raggiungere i colleghi che nel periodo, con il permesso del colonnello ing. Ciocca, redigono il Piano regolatore della città di Pavia [http://www.galleriailmilione.it/files/Bollettino-25.pdf] introducendo, per l’epoca, novità strutturali importanti nelle pianificazioni quali la gerarchizzazione della viabilità tra relazioni intercomunali, urbane e distribuzione locale e di quartiere. Prescrizioni stringenti di tutela del tessuto storico urbano e delle “preesistenze ambientali“ e restauro conservativo dei monumenti di cui è ricca Pavia. Queste innovazioni tematiche risulteranno una componente permanente della pianificazione urbanistica dei BBPR, sia sulla scala urbana che su quella territoriale, che ha favorito per consonanza culturale e vicinanza politica la stretta collaborazione con Adriano Olivetti degli anni 1938-40 [https://iris.uniroma3.it/handle/11590/268664#.XplgZsgzbIU]. Collaborazione che proseguirà anche nel dopoguerra [https://it.wikipedia.org/wiki/Olivetti_Serie_Spazio] – [https://it.wikipedia.org/wiki/Negozio_Olivetti_(New_York)].
1931 – 1943: SCELTA DI CAMPO IN ARCHITETTURA
ADESIONE AL MOVIMENTO MODERNO E ALL’ANTIFASCISMO
In facoltà i BBPR studiano il Movimento Moderno in Architettura e il Razionalismo; hanno contatti con la Bauhaus (Lodo studia il tedesco che purtroppo gli servirà), ammirano Le Corbusier, Gropius, Gidion e avviano contatti con il CIAM, Comitato Internazionale Architetti Moderni. Le prime opere li collocano culturalmente e operativamente nella sfera degli architetti razionalisti. Il riconoscimento avviene attraverso la pubblicazione di un libro di Alfred Rooth dove viene citata per l’Italia la Colonia Elioterapica di Legnano
[https://it.wikipedia.org/wiki/Colonia_elioterapica_(Legnano)], commissionata dall’ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia) ai BBPR, è considerata la più rappresentativa.
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L’edificio è arricchito da sculture in ceramica di Lucio Fontana, frutto della collaborazione tra architetti ed artisti contemporanei che risulta quindi una cifra identitaria dei BBPR. Nel 1931 i BBPR partecipano al primo Littoriale della Cultura e dell’Arte dove – abbinati a due per due, Banfi con Belgiojoso e Peressutti-Rogers – presentano due progetti di coerente natura razionalista. La commissione esaminatrice, presieduta da Giuseppe Pagano Pogatschnig
[https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Pagano_(architetto)], attribuisce loro il primo premio ex aequo Nell’occasione conoscono Pagano, di origine fiumana, influente membro dell’ordine degli architetti fascisti perché Marcia su Roma, che allora sosteneva che l’architettura razionalista fosse rappresentativa del fascismo come rivoluzione popolare e antiborghese. Una teoria presto smentita nei fatti quando l’architettura di regime si richiamò sempre di più alla romanità, al classicismo monumentale, al gigantismo retorico, alla scenografia vuota e agli sventramenti urbani [https://www.domusweb.it/it/movimenti/razionalismo-italiano.html]. Il rapporto dialettico con Pagano continuò fino al comune destino nella Resistenza, nella deportazione e nella morte. L’adesione convinta all’antifascismo fu la conseguenza della deriva bellicista, delle guerre coloniali, del degrado della moralità pubblica, del provincialismo culturale e della propaganda mendace e volgare del fascismo. Lodovico Belgiojoso la descrive così: “il processo di distacco dal fascismo non fu identico in noi quattro anche se, praticamente, fu contemporaneo… Una delle prime fessure aperte fra le nostre coscienze e l’adesione al fascismo fu certamente la proclamazione dell’Impero, dopo la conclusione vittoriosa della guerra d’Etiopia, il 9 maggio del 1936. La retorica insita nella proclamazione dell’Impero con le sue implicazioni sulla cultura (propaganda) fu certamente una delle ragioni del nostro distacco”. Le leggi razziste del 1938, che costrinsero i BBPR a cancellare la presenza di Rogers nei rapporti esterni e con la pubblica amministrazione, furono il motivo dell’adesione all’antifascismo attivo. Nel dicembre del 1942 lo studio di via dei Chiostri diventa un centro di attività cospirative e clandestine, si tessono incontri e contatti con gli amici del Partito d’Azione e rapporti con gli altri partiti. Col peggiorare delle vicende belliche e dopo il 25 luglio 1943, col rientro a Milano dei condannati dai tribunali speciali o degli antifascisti di vecchia data dal confino, si infittiscono gli incontri: importante è l’incontro in casa di Mario Rollier con Rossi e Spinelli, estensori con Colorni del documento federalista ed europeista di Ventotene [https://it.wikipedia.org/wiki/Manifesto_di_Ventotene]. Nel 1943 Banfi viene richiamato alle armi e mandato a Chiavari come ufficiale del Genio. Peressutti viene aggregato all’ ARMIR come interprete di lingua rumena e rientra in Italia subito prima della tragica ritirata dalla Russia perché ammalato. Banfi in agosto è costretto a rientrare a Milano per valutare i danni subiti dalla sua casa di via Moscova in seguito ai bombardamenti che hanno devastato tutto il quartiere: scrive l’11 agosto “sono cadute questa volta bombe incendiarie dell’altezza di 40 cm e 20 di diametro… niente acqua, gli incendi hanno divampato padroni tutto il giorno. Spettacolo orribile… tutto è da rifare, come credo, il 50% di Milano. Sono addolorato di dare queste notizie, ma la guerra non ci ha risparmiato: speriamo di conservare la vita e di poter rifare quello che il fascismo ha perduto con tanta leggerezza”.
10 SETTEMBRE 1943: OCCUPAZIONE NAZISTA DI MILANO
ATTIVITA’ COSPIRATIVA E DI RESISTENZA, ESPATRIO IN SVIZZERA DI ROGERS
ARRESTO DI BANFI E BELGIOJOSO IL 21 APRILE 1944
Il 10 settembre 1943 le Waffen-SS occupano Milano e organizzano una efficiente attività di repressione di polizia e di sicurezza (Sipo-SD), con a capo il colonnello Rauff e il capitano Theo Saevecke [https://it.wikipedia.org/wiki/Theodor_Saevecke]. Requisiscono l’Albergo Regina trasformato in fortino, nei cui sotterranei si facevano interrogatori e torture delle persone arrestate con l’aiuto delle milizie della RSI [https://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_Sociale_Italiana] e delle varie bande criminali fasciste, dalla Koch alla Muti. Dal Regina partivano gli ordini di rastrellare i lavoratori da inviare al lavoro coatto in Germania, la ricerca degli ebrei, dei renitenti alla leva, degli antifascisti, dei partigiani, degli oppositori, dei militari sbandati. Gli arrestati venivano poi inviati al carcere di San Vittore [https://it.wikipedia.org/wiki/Carcere_di_San_Vittore], sia nei raggi 4° e 6°, sotto diretta giurisdizione nazista e destinati ai prigionieri politici, e del 5° poi riservato agli ebrei.
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Nel carcere proseguivano interrogatori, torture e vessazioni con il coinvolgimento e l’assistenza dell’Ufficio Affari Riservati diretto dall’abilissimo agente doppiogiochista Luca Ostéria, noto come il dottor Ugo Modesti [https://it.wikipedia.org/wiki/Luca_Osteria]. Dopo l’8 settembre lo studio BBPR di via dei Chiostri diventa un nodo importante della catena resistenziale e delle iniziative di raccordo con il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) [https://it.wikipedia.org/wiki/Comitato_di_Liberazione_Nazionale]. Dopo l’arresto e l’interrogatorio da parte Luca Ostéria di Mario Damiani – dirigente del Pd’A che, sotto costrizione psicologica per l’arresto del padre e della moglie, descrive in dettaglio le attività cospirative del gruppo e rivela i nomi dei compagni – Banfi e Belgiojoso vengono arrestati. La confessione di Damiani, peraltro estorta, ha comportato la liquidazione del gruppo dirigente milanese del Partito d’Azione, con la sola esclusione di Riccardo Lombardi che, pur individuato, era in gravissimo stato di salute; per cui Ostéria affermò: ”Catania (il nome di battaglia di Lombardi) sta così male che ne ha per pochi giorni: lasciamo fare alla natura perché se lo arrestiamo ne faremmo un martire”. I capi d’accusa sono: appartenenza al Partito d’Azione, distribuzione di stampa sovversiva, collegamenti tra gruppi partigiani, alle comunicazioni tra il Comitato di Liberazione e i fuorusciti in Svizzera, … “. Lodo, in “Frammenti di una vita”, aggiunge “… per fortuna non si è parlato dell’attività di fabbricazione delle tessere, documenti né timbri, della mappatura delle zone di Lecco dove si trovavano i partigiani per indicare agli alleati dove effettuare i lanci, della raccolta fondi e neppure della raccolta di armi con Leopoldo Gasparotto [https://it.wikipedia.org/wiki/Leopoldo_Gasparotto], Arturo Martinelli e Peppino Pugliesi”. E qui Belgiojoso non sottolinea l’assistenza a famiglie ebree e ad antifascisti per l’espatrio in Svizzera da Lanzo d’Intelvi, dove venivano accolti ed ospitati in casa Bertolotti, il padre di Julia, la moglie di Banfi. Da quel varco è transitato anche Rogers, ebreo, i cui genitori invece furono uccisi ad Auschwitz.
21 MARZO 1944: DEPORTAZIONE DI BANFI E BELGIOJOSO COME “POLITICI”
NEI CAMPI DI TRANSITO DI FOSSOLI E DI BOLZANO
E A QUELLO DI LAVORO-SCHIAVO E DI STERMINIO DI MAUTHAUSEN
Il trasporto di Banfi e Belgiojoso da San Vittore al campo di transito di Fossoli avviene il 26 e 27 aprile 1944. La preparazione della partenza, la selezione dei prigionieri, gli itinerari e i mezzi di trasporto utilizzati dal carcere al Binario 21 della stazione centrale di Milano, dei carri bestiame fino alla stazione ferroviaria di Carpi e poi in corriera fino alla destinazione finale delle baracche del campo di Fossoli è descritta nel “Diario di Fossoli” di Leopoldo Gasparotto.
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L’accesso al Campo: “l’autobus corre attraverso Carpi, poi Fossoli e infine scorgiamo un cartello POL-LAGER. Siamo al campo. Ci inquadriamo a gruppi di venti, veniamo avviati a una baracca dove ognuno di noi dà le generalità a un’impiegata ebrea, distinta da un nastro giallo sulla blusa e, in compenso, riceve due triangoli rossi e due rettangolini bianchi recanti il nuovo numero di matricola che altri ebrei si affrettano a cucire sulla giacca …, poi rapatura a zero, sommaria visita medica, due coperte, scodella, cucchiaio e bicchiere di bachelite e dopo molto tempo ed un interminabile appello, ci vengono assegnate le baracche. Nel periodo di attesa Lorenzetti [https://it.wikipedia.org/wiki/Andrea_Lorenzetti] compila l’elenco di un’ottantina di persone da collocare nella medesima baracca. Il Comando ci assegna la Baracca 18 con 80 posti, e lì ci ritroviamo in parecchi di noi…, tra cui Banfi e Belgiojoso. … Lorenzetti ha voluto escludere Damiani e … i quali… si sistemano in un’altra baracca. La Baracca 18 viene definita dagli altri talvolta criticamente perché elitaria e di matrice borghese o con considerazione, rispetto ed interesse ‘quella degli intellettuali’ ed in effetti è la baracca in cui si sviluppato il confronto culturale e politico per definire i valori ideali e programmatici per conseguire una unità antifascista capace di superare le contrapposizioni divisive di ostacolo a ottenere la sconfitta definitiva del nazifascismo, la fine della guerra di distruzione, la pace tra i popoli, la realizzazione di una società di giustizia e libertà, di diritti, di uguaglianza e tolleranza”. In questo contesto Banfi e Belgiojoso contribuiscono al confronto politico e programmatico rappresentando la componente liberal-democratica, federalista ed europeista maturata negli scambi con Rossi e Spinelli, con Lelio Basso, Mino Steiner [https://it.wikipedia.org/wiki/Mino_Steiner] e Aldo Valcarenghi [http://www.comunismoecomunita.org/?p=4849]. Nel frattempo, Banfi e Belgiojoso vengono incaricati di progettare e dirigere lavori edili per migliorare le condizioni del campo: la costruzione di docce per l’igiene generale, di spazi per adunate collettive, manutenzione e incremento del verde. Questo incarico conferma che le SS nell’archivio centrale della deportazione di Berlino disponevano di schede analitiche dei deportati su supporto meccanografico ceduto alla Gestapo dalla IBM americana in modo da smistare i deportati nei singoli campi, in relazione alle esigenze produttive delle industrie e delle attività a cui le SS vendevano la mano d’opera e il lavoro schiavo. Questo incarico ha consentito a Banfi e Belgiojoso di godere di una certa libertà di movimento nell’ambito del Campo, sia deportati politici che parte ebraica; di disporre di un piccolo spazio esclusivo in cui lavorare; di poter conferire incarichi di lavoro a singoli deportati indicando luoghi ad esempio vicino ai reticolati e tali da consentire scambi con famigliari esterni alle recinzione; di riconoscere un piccolo incremento di cibo per i lavori eseguiti; ed infine un rapporto diretto con i lavoratori specializzati e fornitori provenienti dall’esterno con cui venne concordato di una rete di uscita ed entrata di messaggi individuali e scambio con i centri di comando della Resistenza locale e milanese. Il complesso di queste attività di Resistenza attiva nel campo di Fossoli è stato dimostrato in un recente Convegno organizzato da ANED e Fondazione Fossoli sotto l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica dal titolo “Baracca 18 e dintorni: laboratorio di democrazia – da San Vittore a Fossoli (1943-1944)”.Il documento che ufficializza questa elaborazione politica/culturale incomincia cosi: “La comunità dei deportati del campo di Fossoli conviene quanto segue: organizza l’elezione del responsabile della Baracca che sovraintende alla gestione e distribuzione delle risorse pervenute dall’esterno ai singoli, garantisce diritti e doveri dei singoli, punisce comportamenti impropri; istituisce l’organo di coordinamento tra le baracche costituito dai responsabili delle singole baracche ed è presieduto dal capocampo (è l’unica figura non indipendente dalla direzione SS)”. Insomma, nella pratica quotidiana della difficile convivenza forzata di deportati di diversi orientamenti antifascisti e di ogni origine sociale, l’elaborazione politica spinge ai limiti estremi forme di autogestione democratica e ugualitaria dal basso. Julia Banfi riesce a vedere e a parlare col marito per ben cinque volte durante i 90 giorni della permanenza di Banfi e Belgiojoso a Fossoli. Di quel periodo vanno ricordati l’omicidio di Poldo Gasparotto avvenuto il 21 giugno e la tragica e criminale strage dei 67 deportati del poligono di tiro del Cibeno, avvenuta il 12 luglio. Infine, molto triste e doloroso per Giangio e Lodo, il transito per un giorno solo degli anziani genitori di Ernesto condannati allo sterminio. In previsione dell’abbandono del campo di Fossoli deciso dal centro di comando tedesco di Verona, Banfi consegna a Julia, nascosto in un pacco di indumenti, tutta la corrispondenza che ha ricevuto anche clandestinamente al campo. Una decisione che ha consentito di disporre di un materiale eccezionale e unico con i messaggi usciti dal campo e quelli ricevuti dal deportato, e ne ha motivato la pubblicazione integrale e filologica, completata dal “Diario Interrotto” di Julia: si tratta di 5 lettere dal carcere di San Vittore, 75 messaggi da e per Fossoli, e 4 da Bolzano per un totale di 86 lettere o messaggi, 38 pagine manoscritte del diario incompleto di Julia, di 15 documenti originali, di alcuni disegni eseguiti da Belgiojoso e uno eseguito dal capocampo Maltagliati, pervenuto anonimo a Julia nel 1946. Commovente è il diario di Julia che incomincia il 10 luglio, 5 giorni dopo la partenza di Giangio per Mauthausen, al ritorno di un suo disperato tentativo di raggiungere il marito a Bolzano con un camion Feltrinelli, che risulta già partito. Il diario esordisce cosi: ”Da quando sei partito ho pensato che ti sarebbe forse piaciuto sapere quale e stata la mia vita durante la tua lontananza. È la prima volta nella nostra vita a due, che dura in fondo da molti anni, che noi siamo strappati alla nostra amicizia comunicativa, al nostro sentire insieme, Mi sembra ingiusto che tu non sappia degli aquiloni di Giuliano, di quanto ti ho desiderato certe notti, e del terrore…”. Dalla lettura del diario si capisce come il fluire delle informazioni dal Campo di Fossoli fosse tempestivo ed efficiente. Infatti, il diario del 20 luglio 1944 incomincia cosi: “Dopo una notte di terrore, ho il cuore in bocca, ho paura per te”. Ebbene quattro o cinque anni fa – per la commemorazione a Caravaggio di Banfi e di Carlioni, deportato anch’esso a Fossoli, e assassinato il 12 luglio fra i 67 del Cibeno – la sorella del giovane tenente Emanuele ha raccontato che Julia la aveva raggiunta in bicicletta al comune di Miseno, dove i Carlioni risiedevano, per comunicare loro la tragica notizia. Questo significa che Julia, terrorizzata dalla notizia della strage aveva potuto verificare, l’assenza di Giangio e di Lodo dal tragico elenco. La pubblicazione di “Amore e Speranza” [scaricabile da: http://www.deportati.it/biblioteca/librionline/amore-e-speranza/] ha incoraggiato altre testimonianze di deportati nel campo di Fossoli e la pubblicazione di documenti conservati dalle famiglie, e consentendo passi avanti nella ricerca storica.
LUGLIO-AGOSTO 1944: BOLZANO, CAMPO DI TRANSITO DI VIA RESIA
Belgiojoso in “Notte, Nebbia-Racconto di Gusen” descrive così il trasporto dal campo di Fossoli a quello di Bolzano: “Il 25 luglio partimmo da Fossoli. Viaggiammo in autobus fino a Verona, poi raggiungemmo in camion Bolzano”. Non sottolinea che il cambio del mezzo di trasporto è dovuto al complicato superamento del fiume Adige con un tragetto provvisorio per la non transitabilità dei ponti bombardati. Dal campo di Bolzano [http://www.deportati.it/attivita/museo/resbz_it/] Giangio e Lodo inviano sei lettere successive datate 26 luglio, all’arrivo; 31 luglio, 2, 3 agosto e l’ultima (che anche l’ultima di Carte Banfi-Deportazione) il 4 agosto.
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Dal contenuto delle lettere e del fatto che viene fornito un indirizzo di Bolzano a cui inviare eventuali comunicazioni si deduce che hanno avuto contatti con l’organizzazione clandestina di assistenza ai nuovi internati. Il secondo elemento è che nelle lettere del 31 luglio e del 2 e 3 agosto non sanno ancora se Bolzano possa essere la destinazione finale e permanente dell’internamento; il terzo quando vengono informati che verranno trasferiti al nord nei territori occupati dal terzo Reich, non sanno dove saranno trasportati. La lettera di Giangio a Julia del 4 agosto scrive: “Carissima, siamo ancora in attesa di partire; la destinazione, tutto è ancora incerto, solo si dice sia oggi l’inizio del viaggio per Innsbruck o Salisburgo o forse altrove? Vedremo. Bisogna prendere le cose come un’avventura… e armarsi di pazienza e coraggio. … Questo allontanarmi da te è proprio duro ma sarà l’ultima fase prima della nostra riunione che festeggeremo finalmente”. La partenza da Bolzano per Mauthausen avviene il 5 agosto 1944, “in vagoni merci, sessanta per ogni vagone. La sera eravamo a Innsbruck; il giorno seguente proseguimmo e la sera entravamo nella stazione di Mauthausen. Salimmo a piedi fino al campo, e lì, nella piazza interna, attendemmo tutta la notte, fino al mattino successivo, quando ci destinarono al blocco di quarantena”.[https://www.comune.bolzano.it/UploadDocs/6714_Lager_BZ_it.pdf]
10 APRILE 1945: MORTE DI GIANGIO
5 MAGGIO 1945: LIBERAZIONE DI MAUTHAUSEN E DI GUSEN
Italo Tibaldi, nel suo “Compagni di Viaggio – Dall’Italia ai Lager nazisti: i Trasporti dei deportati 1943/1945”, così definisce l’arrivo a Mauthausen da Bolzano: “Trasporto 73: Convoglio partito dal campo di Bolzano il 5 agosto 1944 con destinazione Mauthausen, dove giunse il 7 agosto 1944. Sulla base della sequenza dei numeri di matricola attribuiti alla data di arrivo del convoglio il totale dei deportati risulta di 307, tutti identificati”.
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La conseguenza dello sterminio dei deportati a Mauthausen e nei suoi sottocampi, che ha comportato la morte di Gian Luigi Banfi avvenuta nella data certa del 10 aprile 1945, non consente di documentare pienamente il suo doloroso calvario se non attraverso la testimonianza e i ricordi dei pochi sopravvissuti. Infatti mentre di Belgiojoso attraverso il suo libro “Notte, Nebbia – Racconto di Gusen”, a cui rinviamo direttamente, possiamo seguire l’ evoluzione temporale delle attività di lavoro schiavo, i rapporti con deportati delle diverse nazionalità che ha incontrato, la resistenza psicologica che a messo in atto per sopravvivere e non piegarsi alla disumanizzazione dell’individuo senza un nome ma solo un numero, la determinazione e la volontà di vivere, e la responsabilità di realizzare gli ideali per i quali era stato deportato, non altrettanto si può fare per Giangio Banfi. In questa narrazione ci limiteremo a fornire i resoconti di quanti gli sono stati vicini e l’hanno assecondato nell’itinerario del suo tragico destino. Lodo racconta l’arrivo suo e di Giangio al blocco della quarantena, “Quel blocco rappresentava per noi l’incontro con l’Europa, perché vi trovammo deportati di tutte le nazioni: spagnoli, francesi, polacchi, russi… La prima notte a Mauthausen, nel blocco della quarantena, fu terribile. All’imbrunire ci avevano fatto sdraiare su un fianco, fitti fitti, sul pavimento di una camera, uno di testa e uno di piedi…Giangio ed io fummo insieme nella quarantena circa due settimane. Quando ci trasferirono ai campi di Gusen, venimmo separati; io a Gusen I, lui a Gusen II. Lì iniziammo la nostra vita di deportati”. Più avanti, sempre in “Notte, Nebbia”, Lodo così racconta il suo ultimo incontro con Giangio: “Nel marzo del 1945 Giangio ed io ci ritrovammo insieme nel blocco 30 dell’infermeria. Io provenivo dal blocco di chirurgia dove ero stato ricoverato per un ascesso a un piede, e lui dal 31, il blocco della diarrea e delle gambe gonfie. Era stato Aldo Carpi a toglierlo di là con un sotterfugio e a portarlo al 30. Annessa al blocco 31 c’era, come ho già detto, la ‘cameretta’ della morte, il Bahnhof, stazione appunto di partenza da questa vita. Al 31 tutti vivevano nell’incubo di essere mandati nella ‘cameretta’, dopo essere stati scrutati dagli occhi del medico tedesco addetto al padiglione. Giangio era lì da un mese … Carpi era riuscito a vederlo e Giangio gli aveva detto che non si sentiva di morire così, a 34 anni, che aveva ancora molte cose da fare, da dire come uomo e da costruire come architetto. Che lì non avrebbe più potuto resistere e che, sapendo che io ero al 30, si sarebbe sentito sicuro accanto a me. Solo chi abbia avuto l’esperienza dei campi di eliminazione sa con quanta semplicità di parole e di tono si dicevano cose come queste. Così vidi Giangio arrivare nel padiglione, nudo, con altri dieci Zugang, cioè nuovi arrivati, con la cintura alla vita e il cucchiaio in mano. Non lo vedevo da un mese: era molto magro, con la pelle ingiallita e asciutta. Aldo Carpi aveva ottenuto che fosse messo nella mia cuccetta. Lì iniziarono gli ultimi quindici giorni della nostra vita in comune: si dice che chi muore annegato veda negli ultimi istanti l’intera sua esistenza; così noi due, in quei giorni, abbiamo scorso tutto il passato delle nostre vite… Fu per noi l’ultimo incontro …”.
Nel Diario di Gusen di Aldo Carpi si trova qualche altra informazione sugli ultimi mesi di Giangio a Gusen. A pagina 67, in data 10 marzo 1945, si legge: “I due amici di Milano erano gli architetti Lodovico Belgiojoso e Luigi Banfi. Dormivano nello stesso letto e si scaldavano a vicenda. Erano riusciti a stare insieme e, in complesso, si erano ambientati, disegnavano, facevano progetti. Ne hanno fatto uno anche per Kaminski, credo per una casa in Polonia. In cambio Kaminski ogni tanto dava loro qualche cosa da mangiare, un po’ del solito würstel o altro, che cuoceva nel forno del crematorio. Kaminski diceva: ‘E’ cotto la dentro’. Ricordo che una volta Banfi non è stato invitato a questa specie di pranzo ed è rimasto malissimo. Perché non aveva altro modo di mangiare qualcosa in più.”
A pagina 74, in data 13 marzo 1945, Aldo Carpi annota: “L’amico dell’ospedale era Banfi, quello che stava male e che correva al lavoro era Belgiojoso. Banfi, per mezzo del dott. Goscinski ero riuscito a farlo passare dal blocco del Bahnhof, della morte – e Banfi lo sapeva – al mio blocco: gliene avevano fatte di tutti i colori, l’avevano torturato, l’avevano sottoposto alla ginnastica dello sgabello e poi alla doccia gelata, era consumato, sfinito. Belgiojoso aveva avuto più fortuna con Kapos meno cattivi, talvolta persino buoni, e aveva cominciato a lavorare …”
12 MAGGIO 1945: COMUNICAZIONE DELLA MORTE DI GIANGIO ALLA MOGLIE JULIA
Gian Luigi Banfi muore il 10 aprile 1945. Sarà il pittore Aldo Carpi a darne l’annuncio ai familiari nella commovente lettera scritta nell’infermeria di Gusen in questa data: “Ad ore 12.45 moriva Banfi – Mancato lentamente senza soffrire – E’ stato curato nel miglior modo possibile qui – ed è morto nel suo letto – Era estremamente debole – Ieri mattina era venuto fino da me a visitarmi – ma il viso e specie gli occhi erano senza vivacità – Fino alla sera, come sempre avanti, quando lo lasciai aveva spirito – Ma la notte disse a Franco che non ce la faceva più – poi cominciò un piccolo delirio – Ricevette il mattino una iniezione di simpatol, poi delle pillole che non prese perché si addormentò e così nel sonno finì. Il sole era sulla sua finestra e su di lui – bellissima giornata – Un bel merlo in gabbia era sul tetto al sole – Verso le 13.30 fu portato alla sala mortuaria – Il dottor Felix Kaminski alle 13 venne, gli chiuse gli occhi e gli coprì il viso. Dal Blocco 30 di Gusen (Mauthausen). Il dott. Felix Kaminski giornalmente gli portava da mangiare, qualche volta anche patate cotte da lui con würstel – gli portava medicine. Banfi era molto contento. Aldo Carpi”.
I MONUMENTI DI MEMORIA REALIZZATI DALLO STUDIO BBPR
1 – 1946: Il Monumento al Deportato al Cimitero Monumentale di Milano
Il Monumento in ricordo dei Caduti nei lager segna, dopo la pausa forzata dovuta al conflitto mondiale, la ripresa dell’attività professionale dello studio BBPR (Banfi, Belgiojoso, Peressutti e Rogers) orfano di Gianluigi Banfi, morto a Gusen. La struttura, formata da tubolari metallici saldati e dipinti di bianco, disegna una griglia tridimensionale di 212 centimetri di lato che nasce dall’intersezione tra le figure di un cubo e di una croce greca. La gabbia poggia a sbalzo su un basamento a croce che rafforza la leggerezza della parte superiore grazie alla forza della pietra di Moltrasio e del marmo bianco di Candoglia. Al centro, circondata da filo spinato, è posta una gamella del lager contornata da filo spinato contenente la terra di Mauthausen. La regolarità della figura è contraddetta dalla posizione asimmetrica delle lapidi riportanti brani del Discorso della Montagna, tratto dal Vangelo secondo Matteo. Quella attualmente visibile è in realtà la terza versione del monumento, che, di fatto, è la ricostruzione del progetto iniziale del 1946 commissionato ai BBPR dall’ANED, l’Associazione degli ex deportati.
2 -1963: Memoriale di Gusen
I tre sottocampi di Mauthausen (Gusen I, Gusen II, Gusen III) hanno costituito una tragica realtà a sé per quantità di deportati e durezza nelle condizioni, sia di prigionia che di lavoro. La loro costruzione fu avviata nel marzo 1940; per ospitare i lavoratori-schiavi da impiegare nello sfruttamento delle vicine cave di granito e per lavorare per l’industria bellica (Steyr, Messerschmitt, Daimler, …). Fin dall’inizio il lavoro-schiavo costituì anche uno dei mezzi di eliminazione dei prigionieri, considerati “pezzi” senza valore. Nel 1941 vi fu installato il forno crematorio e si avviarono le eliminazioni sistematiche di malati, inabili, portatori sospetti di malattie contagiose. Nel marzo del 1944 iniziano i lavori per la costruzione del campo di Gusen II. I deportati, oltre a costruire il campo, lavorano allo scavo di un sistema di gallerie, larghe da 6 a 8 metri e alte da 10 a 15, entro le quali furono collocati impianti per la produzione di armi e parti di aerei. Nel dicembre inizia la costruzione di Gusen III, destinato alla produzione di laterizi. Alla fine degli anni ‘50 il Comune ne decise la lottizzazione e sorse una fitta serie di abitazioni residenziali. È scomparsa la recinzione e sono state eliminate le baracche e le altre strutture concentrazionarie. Rimane riconoscibile, per quanto riconvertito in abitazione, l’edificio dell’ingresso e del comando del campo. L’ANED insieme a un gruppo di ex deportati francesi acquistò il lotto dove si trovavano ancora i resti dei forni crematori: Successivamente Lodovico Belgiojoso, ex deportato a Gusen, fu incaricato di progettare il Memoriale del campo, che ancora oggi è meta di visite da parte di migliaia di persone ogni anno.
3 – 1973: Monumento Museo di Carpi
Inaugurato nel 1973, il Museo Monumento al Deportato è una struttura unica nel suo genere, frutto dell’impegno civile di artisti che furono anche testimoni degli avvenimenti che rappresentavano. Già nella metà degli anni ’50 l’amministrazione di Carpi, guidata dal primo sindaco Bruno Losi, diede vita a un comitato composto dagli enti locali, dalle comunità ebraiche, dall’ANED (Associazione nazionale ex Deportati) e dalle associazioni combattentistiche, per ricordare i deportati nei lager. In tale modo si intendeva tradurre il ricordo, ancora vivo nelle superstiti strutture del vicino Campo di Fossoli, in costante monito per il futuro. Per la progettazione del Museo fu incaricato il gruppo BBPR (Belgioioso, Banfi, Peressutti e Rogers) in collaborazione con Renato Guttuso. A questi architetti la commissione giudicatrice riconobbe il merito di avere operato la scelta antiretorica di esprimere un tema, che dava facilmente adito a ovvie forme di simbolismo, utilizzando un linguaggio rigoroso e alieno da ogni retorica. Il Museo, posto in una vasta area a piano terra del Palazzo dei Pio, in pieno centro storico, si sviluppa in 13 sale essenziali e sobrie. Qui sono conservati suggestivi graffiti di alcuni grandi pittori come Picasso, Longoni, Léger, Cagli e Guttuso che hanno commentato a loro modo l’orrore della Deportazione sulle pareti del Museo. Le teche contengono pochi ma significativi reperti, oggetti e fotografie, ordinati da Lica e Albe Steiner.
4 – 1998: Il monumento del Parco Nord dedicato agli operai deportati
Il Monumento al Deportato è un’opera scultorea del 1998 progettata dallo studio BBPR di Lodovico Barbiano di Belgiojoso, ex deportato, e di Alberico Barbiano di Belgiojoso, suo figlio. Si trova all’interno del Parco Nord Milano, nel territorio del comune di Sesto San Giovanni, in cima a una collinetta composta dalle macerie delle fonderie della Breda, in particolare della IV Sezione Siderurgica. Il monumento è dedicato ai cittadini che lavoravano nelle fabbriche dell’area industriale di Sesto San Giovanni, arrestati e deportati nei campi di concentramento nazisti, a seguito degli scioperi del marzo 1944, ma anche per attività antifascista, per azioni partigiane, o semplicemente a seguito di rastrellamenti. Il complesso monumentale si compone di una scalinata, evocativa di quella del campo di concentramento di Mauthausen, che conduce alla sommità della collina, dove alcune lapidi con i nomi dei deportati; fanno corona ad una stele di ferro (che simboleggia la fatica e il sacrificio dei deportati) con due braccia protese verso il cielo che regge dei massi di granito provenienti dalle cave di Mauthausen, a ricordo dei lavori forzati nei campi nazisti.
5 – 1980: Memoriale degli Italiani assassinati nei lager nazisti, sfrattato da Auschwitz, ora a Firenze EX-3
Il memoriale italiano di Auschwitz – voluto dall’ANED, progettato dallo Studio BBPR e installato nel 1980 al primo piano del Blocco 21 – fu realizzato grazie alla collaborazione di alcuni importanti nomi della cultura italiana del Novecento. Il Memoriale è costituito da una spirale a elica all’interno della quale il visitatore cammina come in un tunnel, rivestita all’interno con una tela composta da 23 strisce dipinte da Pupino Samonà [https://it.wikipedia.org/wiki/Pupino_Samon%C3%A0], seguendo la traccia di un testo scritto da Primo Levi [http://www.deportati.it/lager/alvisitatore/]. Dalla passerella lignea che conduceva il visitatore nel tunnel saliva la musica di Luigi Nono [https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Nono_(compositore)], Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz [https://www.youtube.com/watch?v=-z-IUbwaMC0]. Nelo Risi [https://it.wikipedia.org/wiki/Nelo_Risi] contribuì alla realizzazione con la sua competenza di regista. Il Memoriale, che celebrava tutti gli italiani caduti nei campi di concentramento nazisti, è stato fortemente criticato negli anni ’90 dalla direzione del Museo che nel 2014 è giunto fino a chiuderlo al pubblico, minacciandone lo smantellamento. In seguito all’accordo tra l’ANED, proprietaria dell’opera, il Comune di Firenze, la Regione Toscana e il Ministero dei Beni Culturali, la grande spirale è stata smontata, restaurata e rimontata a Firenze, dove è stata inaugurata nel 2018. [http://www.deportati.it/?Page=3&s=memoriale+di+auschwitz]